Nel 2002 i Paesi Bassi hanno approvato la legge che legalizza eutanasia e suicidio assistito.
Dal 2016 questa legge vale anche per le persone con demenza che l’hanno richiesta mentre erano ancora lucide.
La legge non affrontava però, in modo specifico, la questione dei pazienti che potrebbero cambiare idea mentre si trovano in uno stato avanzato di demenza e su come agire affinché questa nuova scelta sostituisca la precedente.
Una donna di 74 anni con demenza avanzata, nel 2016, subì l’eutanasia dal medico della casa di cura in cui risiedeva, dopo che lo stesso si era consultato con la famiglia della donna.
Mentre era ancora lucida, la donna aveva dichiarato di non voler finire in una casa di cura e di volere l’eutanasia quando avrebbe ritenuto che il momento fosse giunto.
Entrata in casa di cura ha però dato segnali contraddittori sulle sue volontà, affermando in taluni casi di non voler morire. Alla fine il dottore decise di eseguire comunque l’eutanasia.
La Procura Generale portò a giudizio il medico, ritenendo che il colloquio con la paziente sulle decisioni relative al suo fine vita avrebbe dovuto essere più esplicito e contemplare questa situazione.
Al contempo si esprimeva preoccupazione per una possibile mancanza di chiarezza nella legge olandese relativa al trattamento dei pazienti che perdono l’acutezza mentale.
Nel 2019 il tribunale dell’Aja ha assolto il medico poiché, secondo la Corte, è stato attento e ha seguito il protocollo di eutanasia stabilito dalla legge olandese.
La Procura Generale ha deciso dunque di appellarsi alla Corte Suprema che lo scorso 21 aprile si è pronunciata a favore del medico.
Una sentenza preoccupante per noi di Steadfast Onlus per due motivi fondamentali:
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