Da un articolo dell’Avv. Daniela Bianchini del Centro Studi Livatino:
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme in materia di adozione dei minori in casi particolari, laddove escludono l’esistenza di rapporti civili fra l’adottato e i parenti dell’adottante. L’adozione in casi particolari negli ultimi anni è stata spesso utilizzata dalle coppie omosessuali come strumento per superare i limiti posti dalla legge in materia di filiazione. In attesa di leggere la sentenza, va comunque ribadita la necessità di evitare che pratiche disumane come la maternità surrogata trovino ingresso nel nostro ordinamento per via giurisprudenziale e vengano così legittimate.
1. L’ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale il 24 febbraio scorso ha pubblicato una nota con per informare che la Consulta nel medesimo giorno ha preso posizione sull’adozione dei minori in casi particolari, dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 55 della legge n. 184/1983 e dell’art. 300 co. 2 cod. civ. (richiamato dall’art. 55) nella parte in cui è previsto che l’adozione “non induce alcun rapporto civile fra l’adottato e i parenti dell’adottante”. Detto mancato riconoscimento di rapporti civili ‒ si legge nel comunicato – “discrimina, in violazione dell’art. 3 della Costituzione, il bambino adottato ‘in casi particolari’ rispetto agli altri figli e lo priva di relazioni giuridiche che contribuiscono a formare la sua identità e a consolidare la sua dimensione personale e patrimoniale, in contrasto con gli articoli 31, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.
In attesa di leggere la sentenza, si ritiene utile svolgere alcune brevi considerazioni sull’istituto dell’adozione e sulle ragioni che hanno portato la Consulta ad occuparsi della materia.
2. In base alla legge n. 184/1983, il nostro ordinamento prevede per i minori due tipi di adozione, con effetti e presupposti differenti, pur con l’unico obiettivo di realizzare l’interesse del minore a crescere in una famiglia. La forma più nota di adozione è quella c.d. legittimante, di cui all’art. 6, che comporta il pieno ingresso del minore nella famiglia degli adottanti (i quali devono essere sposati), e la relativa instaurazione di rapporti familiari con i loro parenti, nonché il venir meno dei rapporti con la famiglia di origine.
L’altra forma è quella di cui all’art. 44, ossia l’adozione in casi particolari (c.d. non legittimante) la cui disciplina ricalca in larga misura quella dell’adozione di persone maggiorenni, e prevede il mantenimento del legame fra il minore adottato e la famiglia di origine, nonché l’instaurazione di rapporti giuridici solo con gli adottanti (o l’adottante singolo) e non anche con i loro parenti.
L’adozione in casi particolari è stata prevista nell’ottica di tutelare i minori privi di un adeguato sostegno familiare, anche in quei casi di impossibilità (giuridica o materiale) di ricorso all’adozione piena: minori “difficili”, prossimi alla maggiore età, minori orfani e disabili, o minori già conviventi con il coniuge del genitore biologico. Il legislatore, con l’adozione in casi particolari ha quindi previsto uno strumento più flessibile, capace di adattarsi a molteplici situazioni, in quanto non presuppone lo stato di abbandono, non interrompe i rapporti del minore con la famiglia di origine ed è accessibile anche a persone singole. Uno strumento che, per le sue caratteristiche, con il tempo è stato ampiamente utilizzato, andando anche oltre le finalità previste dal legislatore, soprattutto nei casi di semiabbandono dei minori, fino a dar vita a quella che viene comunemente indicata come “adozione mite”, di creazione giurisprudenziale.
3. Secondo i dati statistici forniti dalla Direzione Generale di Statistica e Analisi organizzativa del Ministero della Giustizia[1], pubblicati il 21 ottobre 2021 e relativi all’anno 2018, i Tribunali per i minorenni hanno pronunciato 846 sentenze di adozione nazionale e 667 sentenze di adozione in casi particolari[2]. Ormai da tempo, con l’introduzione dello status unico di figlio e con l’ampliamento del concetto di relazioni familiari a opera della giurisprudenza europea, muovendo da un’interpretazione estensiva dell’art. 8 della CEDU e dell’art. 24 della Carta di Nizza, in dottrina si discute sulla possibilità di estendere agli adottati nei casi particolari la disciplina prevista per l’adozione piena, con particolare riferimento all’instaurazione di rapporti giuridici fra l’adottato e i parenti dell’adottante.
In particolare l’attenzione è stata rivolta all’art. 74 cod. civ. che, dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 219/2012, individua la parentela come quel “vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo”, con espressa esclusione dei casi di adozione delle persone maggiori di età. In dottrina, seppure con qualche titubanza, si è diffuso il convincimento che il legislatore abbia voluto ricomprendere anche i casi di adozione particolare. Va altresì considerato che la giurisprudenza della Corte EDU in materia ha manifestato un maggiore favore per forme di adozione che consentano al minore di non recidere il legame con la famiglia di origine e al tempo stesso gli permettano di mantenere i rapporti significativi instaurati con le persone che lo hanno accolto e si sono prese cura di lui. A tal ultimo proposito, giova osservare che va in questa direzione la tutela della “continuità delle positive relazioni socioaffettive consolidatesi durante l’affidamento” di cui all’art. 4 comma 5 ter della Legge n. 184/1983 (come novellato dalla Legge n. 173/2015) con riferimento ai minori in affidamento familiare.
La Commissione Giustizia della Camera, a conclusione dell’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni e affido del 2017, ha messo in evidenza la necessità di un intervento del legislatore in materia di adozione al fine di adeguare la normativa italiana ai principi internazionali sulla tutela dei minori e in particolare a quanto previsto dalla Convenzione ONU del 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che, all’art. 8, impegna gli Stati parti a “rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali” e, all’art. 21 comma primo, sancisce: “gli Stati parti che ammettono e/o autorizzano l’adozione si accertano che l’interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia”.
4. La decisione della Corte costituzionale di ritenere illegittime le disposizioni che escludono l’esistenza di rapporti civili fra il minore adottato nei casi particolari e i parenti dell’adottante si inserisce dunque in questo quadro e conferma la necessità di un intervento legislativo in materia. Come ricordato dalla Corte Europea dei Diritti Umani, che in più occasioni ha sanzionato l’Italia per violazione dell’art. 8 della CEDU, nella nozione di “vita familiare” meritevole di protezione vanno ricomprese anche le relazioni di fatto. Da qui la considerazione più volte espressa in dottrina per cui il riconoscimento di eguali diritti che discendono dallo status di figlio comporta necessariamente la rilevanza di tutte le relazioni familiari in cui si svolge la personalità del minore.
È innegabile infatti che il minore, tanto nel caso di adozione piena che in quello di adozione particolare, oltre ad instaurare rapporti significativi con gli adottanti può entrare anche in relazione con i loro parenti (es. nonni, zii, cugini). Di conseguenza, con il più intenso ricorso all’adozione in casi particolari – pensata ab origine come forma residuale ed eccezionale rispetto all’adozione legittimante ‒ si è posto in dottrina e in giurisprudenza l’interrogativo circa l’opportunità che permangano effetti limitati all’adozione particolare e che la stessa sia regolata sul modello dell’adozione delle persone maggiori di età, piuttosto che venga introdotta una disciplina unitaria per l’adozione dei minori.
Giova segnalare l’iter che ha portato la questione innanzi alla Corte, al fine di mettere in evidenza uno dei rischi che si annidano in tante sentenze, sia di legittimità che di merito, aventi ad oggetto proprio l’adozione in casi particolari: il rischio che, attraverso interpretazioni estensive delle norme vigenti in materia, venga legittimata per via giurisprudenziale, anche indiretta, la maternità surrogata[3], ossia quella pratica disumana attraverso cui viene realizzata la cessione a terzi di bambini, come se fossero oggetti: i neonati vengono separati dalle madri biologiche subito dopo il parto e consegnati a coloro che, da contratto, ne reclamano il possesso per soddisfare il proprio desiderio di genitorialità. Una pratica che la stessa Corte costituzionale ha definito “offensiva della dignità della donna” (sentenza n. 272/2017) e che prima ancora è stata condannata dal Parlamento Europeo con la risoluzione del 17 dicembre 2015 in quanto “compromette la dignità della donna, dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce”.
Ebbene, alla base della pronuncia della Corte costituzionale dello scorso 24 febbraio, vi è la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale per i minorenni di Bologna (ordinanza del 26 luglio 2021 rubricata al n. 143/2021 del registro della Corte costituzionale) riguardo alla possibilità di dichiarare il legame di parentela tra l’adottato e i parenti dell’adottante, laddove l’adottato in questione è un minore nato da maternità surrogata e l’adottante colui che ha stipulato il relativo contratto negli Stati Uniti.
5. L’adozione in casi particolari negli ultimi anni è stata spesso utilizzata dalle coppie omosessuali per aggirare i limiti previsti dalla legge: attraverso la strumentalizzazione del “superiore interesse del minore” si è cercato di legittimare nell’opinione pubblica, passando dalle aule di tribunale, il ricorso a pratiche come la fecondazione eterologa e la maternità surrogata eseguite all’estero e volte a soddisfare più che altro desideri di genitorialità degli adulti. Non si può infatti sottovalutare che le lamentate esigenze di tutela dei minori coinvolti traggono sempre origine in questi casi dalla preordinata e cosciente volontà degli adulti di violare i limiti previsti dall’ordinamento, imponendo poi di fatto allo Stato la legittimazione indiretta di pratiche vietate.
Ne consegue che l’intervento legislativo in materia di adozioni, nell’ottica della piena ed effettiva tutela dei minori, dovrà anche evitare rischi di legittimazione indiretta di pratiche disumane come la maternità surrogata, chiarendo che l’interesse del minore non è quello di rimanere presso adulti che ne hanno fatto ab origine l’oggetto di un contratto, ma semmai di essere da questi allontanato. Quando si ragiona in termini di tutela del superiore interesse del minore occorre ricordare ad esempio quanto affermato dall’art. 7 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e adolescenza: ogni minore ha il diritto di “conoscere i suoi genitori” e di “essere allevato da essi”.
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