J., 29 anni, sua moglie di 23, due figlie di 5 e 3 anni e poi Mujib, “l’aquilano”, l’ultimo nato.
Questa è una delle 3 famiglie arrivate in Italia, scappate dall’invasione dei Talebani nella loro città.
Nel breve lasso di tempo in cui i Talebani avrebbero preso il controllo di tutte le infrastrutture, chi riusciva a salire sugli ultimi aerei in partenza poteva farlo. E così ha fatto anche J., con sua moglie e le due figlie, prima della nascita di Mujib. Così voleva fare anche suo fratello, ma non ha potuto: “Ha bambini in sedia a rotelle che non potevano salire sull’aereo, così è rimasto lì a proteggerli e mi ha affidato l’unico che poteva muoversi e prendere l’aereo con noi, il nipote di 11 anni.
“Lavoravo in settore gioielleria” spiega J. “Lavoravo anche con americani“. Ho deciso di partire, è stata una questione di vita o di morte, J. è quello che viene definito in gergo obiettivo sensibile. I Talebani non avrebbero mai “perdonato” questo contatto con il mondo occidentale.
La prima cosa che J. vede nel suo futuro sono “documenti”. Poi, “voglio imparare bene l’italiano“. Terzo, il lavoro. Con documenti a posto e l’italiano sicuro, il passo successivo è “avviare una nuova ditta”. Così, insieme alla sua famiglia la vita può riprendere.
«Nella lunga intervista di cui abbiamo condiviso uno stralcio questo padre parla del suo ultimo nato come di “una gioia che non si può spiegare”. È incredibile come anche di fronte a realtà terribili come la guerra o il terrorismo, la vita possa avere la meglio e, con essa, la felicità» è il commento del presidente di Steadfast Emmanuele Di Leo.
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