La Nigeria un paese lacerato dal terrorismo. Il punto della situazione del Card. Onayekan
da: AsiaNews
Fra le testimonianze ascoltate durante il convegno di Oasis, vi è quella sulla situazione della Nigeria, presentate dal Card. John Onayekam, arcivescovo di Abuja. In questa analisi di ampio respiro, il porporato mostra come il fenomeno del Boko Haram, l’organizzazione terrorista autrice di diversi massacri di cristiani, sia costituita da una minoranza – criticata dall’islam locale – e con ramificazioni straniere. Il card. Onayekam traccia anche la pista per una riconciliazione del Paese.
Vorrei iniziare dicendo che la violenza appartiene alla cultura nigeriana, come del resto credo ad ogni cultura. Senza contare la storia delle antiche lotte tribali, della conquista coloniale e della relativa resistenza, la nostra Nigeria indipendente ha vissuto anche una dura guerra civile (detta “del Biafra”), nel corso della quale si sono verificate violenze e omicidi. In seguito, il Paese ha dovuto fronteggiare criminalità e sequestri, prodotto delle violenze degli ultimi decenni. C’è poi quella comune forma di violenza che ha sempre segnato il Paese: scontri etnici, sociali e politici. Le nostre elezioni sono state spesso macchiate da aspre violenze. In questo scenario, la componente religiosa rimane all’interno di uno schema più o meno “normale”. La gente lotta e si scontra su un gran numero di tematiche, ma la religione è solo una di queste.
Il terrorismo rappresenta un elemento di novità in Nigeria. Con il termine “terrorismo”, intendiamo tutte quelle azioni violente che portano all’uccisione indiscriminata di persone innocenti, senza alcuna logica apparente. Quella particolare forma che vediamo radicata nel nostro Paese, soprattutto Boko Haram nel nord-est, rappresenta una anomalia per la nostra nazione. I membri militanti sono locali. Ma essi hanno precisi legami e sostegno dall’estero. Si dice che i loro leader siano membri di cellule terroriste e movimenti fuori della Nigeria, nei punti caldi del terrorismo islamico come Iraq, Pakistan, Afghanistan, Somalia e, di recente, anche il Mali. A volte i terroristi prendono di mira personalità specifiche, come uomini politici o, è triste da dire, cristiani e chiese. Ma è difficile da capire se gli attacchi ai cristiani e alle chiese abbiano un chiaro movente religioso e quale scopo. Notiamo che, di tanto in tanto, questi gruppi manifestano la loro volontà di istituire in Nigeria uno Stato islamico, governato da una severa forma di shari’a; in altri momenti, essi hanno ordinato a tutti i non musulmani di andarsene dalle regioni che essi occupano: un appello inutile, che non tiene conto della complessità della presenza islamo-cristiana sul territorio nigeriano. In tutto questo, il terrorismo ha introdotto un nuovo livello di virulenza nei danni che essi provocano alle vite umane e alle cose.
Per parlare di terrorismo religioso in Nigeria, occorre dire qualcosa sulle religioni in NIgeria. Spesso si dice che in Nigeria esistono tre religioni: quella tradizionale africana, quella musulmana e quella cristiana. Ma la maggior parte della popolazione, diciamo il 90%, si professa cristiana o musulmana. Allo stesso tempo, entrambi questi gruppi confessionali riconoscono le proprie radici nella religione tradizionale africana. La diffusione geografica delle due confessioni è piuttosto equilibrata. Sebbene il nord sia largamente musulmano e il sud-est a maggioranza cristiana, nella fascia centrale del Paese – nel Sudovest e nel centro – le due fedi sono mescolate. Parlare di nord musulmano e di un sud cristiano significa fornire un’analisi molto imprecisa. Di fatto in ogni parte della Nigeria vi sono elementi islamici e cristiani.
In generale, le relazioni tra nigeriani di gruppi confessionali differenti sono buone e cordiali, nonostante gli eventi più recenti. É proprio sulla base di questa buona relazione che tentiamo di costruire i nostri sforzi per superare le sfide presenti. Le derive terroristiche che stiamo sperimentando sono senz’altro un’anomalia che prima o poi verrà superata. Già alcune settimane fa si è registrato un dibattito con alcune frange estremiste disposte a deporre le armi in vista di una possibile amnistia a condizioni ancora da definire. Di recente, il governo federale ha dato vita a un comitato costituito in maggioranza da musulmani devoti, con il compito di incontrare i militanti e fare una proposta per giungere a un programma di amnistia. Questo comitato non è ancora riuscito a raggiungere un risultato tangibile.
La violenza religiosa in Nigeria ha molto spesso motivazioni diverse. Quello che a volte sembra odio religioso, potrebbe avere in realtà radici etniche, politiche e socio-economiche. Ad esempio, quando si registrano scontri per la scarsità di risorse tra due vicini o tra due gruppi etnici confinanti, se uno dei due è a maggioranza cristiana e l’altro è a maggioranza musulmana, lo si etichetta subito come scontro confessionale, anche se la religione c’entra poco. In questo senso si registrano molti episodi di agricoltori, generalmente cristiani, che si scontrano con gruppi di pastori di fede musulmana. L’antica disputa tra pastori e agricoltori, la storia di Caino e Abele, continua ancora oggi. E dato che un gruppo è cristiano e l’altro musulmano, il conflitto viene visto come un conflitto religioso. In realtà scontri di specifica matrice religiosa sono molto rari. L’importante, in questo momento, è piuttosto che la religione, aspetto fondamentale della vita di ogni nigeriano, si presenti come uno strumento di pace in grado di superare gli attriti.
Ora, parliamo più nel dettaglio del gruppo terroristico “Boko Haram”, insediatosi nel nord-est del Paese, e dell’impatto che questo ha avuto sulla religione in Nigeria. Nell’immediato, questi terroristi sono definiti fanatici religiosi. Tutti li chiamano ‘terroristi islamici’, un appellativo che molti musulmani nigeriani criticano. Dato che le loro azioni sono contro i precetti dell’islam. Il punto è che essi sono chiaramente musulmani, loro stessi si definiscono tali. Non solo questo: nelle loro gesta e attacchi contro i cristiani, essi gridano sempre lo slogan islamico “Allah u akbar”. Per questo, la comunità musulmana della Nigeria non può rinnegarli, come ha tentato di fare per anni, anche se è incoraggiante sapere che essi non rappresentano il volto autentico dell’islam nel nostro Paese.
Questo è il motivo per cui pensiamo che i leader religiosi giochino un ruolo determinante nel contenere e magari risolvere tale problema. Di recente, il sultano di Sokoto, il leader più influente della comunità musulmana nigeriana, ha lanciato un appello per un’amnistia da concedere ai terroristi. Il sostegno che la sua proposta sta raccogliendo tra alcuni leader della comunità cristiana, ha generato un dibattito che ritengo molto fruttuoso. Ho già citato la decisione del governo di istituire un comitato per studiare questo tema e offrire utili raccomandazioni per l’azione.
In generale, l’azione del governo pare mancare di coerenza. Per lungo tempo, il governo ha sottovalutato la serietà del fenomeno, affrontandolo solo con l’idea di voler far rispettare l’ordine e la legge. Per questo, si è usata prima la polizia, poi l’esercito.
Nonostante sforzi considerevoli, i terroristi sembrano diffondersi e crescere sempre di più. A quanto pare, i mezzi rozzi usati dalle forze di sicurezza hanno alienato le comunità in cui i terroristi vivono ed operano, rendendo più problematico il loro compito. Come può un soldato trattare “in maniera gentile” miliziani armati, senza vestire l’uniforme mescolandosi con la gente dei villaggi e in pratica trasformando la popolazione civile in uno scudo umano? Questo fattore ha scatenato le critiche di alcune organizzazioni per i diritti umani nei confronti del nostro governo.
Questo è forse il motivo che ha spinto il nostro governo a cercare di usare il dialogo e l’offerta di un’amnistia per chi è disposto a deporre le armi per la riconciliazione. C’è poi un grande problema: chi sta negoziando con chi? L’ulivo di pace del governo è stato rigettato da qualcuno che pretende di rappresentare Boko Haram. Si spera che qualcun altro possa accettare l’offerta di pace.
Per molto tempo, la classe politica nigeriana ha cercato di sfruttare questa tragedia di insicurezza e di sangue per accrescere consensi. Il governo ha accusato l’opposizione di fomentare la ribellione e l’opposizione ha bollato il governo come incompetente e incapace di guidare la nazione. Mentre gli uni e gli altri puntano il dito l’uno contro l’altro, i nigeriani hanno continuato ad essere uccisi e la situazione economica e sociale nelle regioni più colpite si è bloccata. Tuttavia, di recente pare vi siano segnali di cooperazione politica ai massimi livelli. Un chiaro segno di questa cooperazione è la dichiarazione dello stato di emergenza in tre Stati più colpiti dai ribelli, quelli lungo il confine nord-est della Nigeria: Borno, Yobe e Adamawa. In tutte queste aree, la struttura democratica è stata lasciata in opera: il che significa che i governi di Borno e Yobe – in mano all’opposizione – stanno collaborando con il governo centrale affrontando insieme il comune pericolo.
Insieme allo stato di emergenza, il governo ha lanciato una vigorosa e robusta iniziativa militare, che sta avendo un discreto successo, facendo uscire e disperdere i miliziani dai loro campi e installazioni. Le notizie dalle zone di battaglia restano però scarsissime. L’azione militare coinvolge sia truppe nigeriane che contingenti inviati dai Paesi limitrofi. Si dice che la Nigeria abbia ricevuto armi e addestramento strategico da nazioni lontane come Gran Bretagna, Stati Uniti e Israele. Aspettiamo e speriamo per il meglio.
Mentre l’azione militare prosegue, noi dobbiamo pensare a cosa verrà dopo. Siamo in attesa di vedere quali piani ci sono per una genuina riconciliazione, riabilitazione e ri-orientamento per i molti che sono stati convinti a mettersi contro la loro nazione. Io credo che questo sia il punto su cui le comunità religiose hanno un importante ruolo da giocare. Questi pochi anni di violenze settarie hanno danneggiato molto e reso fragili le buone relazioni tra cristiani e musulmani in Nigeria, conquistate con duro lavoro. Entrambe le comunità avranno bisogno di lavorare duramente per restaurare e promuovere di nuovo i valori del rispetto reciproco. Questo richiede un duro lavoro e molta pazienza specie da parte dei leader religiosi di entrambi i campi.
Avendo detto ciò, occorre considerare che Boko Haram è un fenomeno complesso. Ci sono aspetti sociali, politici ed etnici. Tutti questi fattori vanno affrontati in blocco, insieme all’aspetto religioso. In questo senso, la religione, è uno dei molti aspetti da considerare per giungere a una soluzione. Tale approccio religioso dovrebbe iniziare dalla ‘casa dell’islam’ e fare tutto il possibile per mettere ordine al suo interno. Da parte nostra, noi cristiani, dobbiamo avere un’attitudine più positiva verso l’islam in generale, per far fronte al terrorismo islamico insieme ai nostri fratelli musulmani. Ciò significa cercare fondamenti comuni, sottolineare le cose che ci uniscono, dare risalto a ciò che manteniamo come valori religiosi comuni. Inoltre, dovremmo lavorare insieme per affrontare le sfide che ci stanno davanti, in termini di povertà, malgoverno, malattie, ecc…
Se questo avviene, saremo capaci di costruire una comunità che può lavorare e camminare insieme come un unico corpo, una comunità, una nazione, nonostante le nostre differenze religiose.
In tutto ciò, è necessario un coordinamento di tutti i nostri sforzi. Penso che questo sia il punto su cui il governo deve giocare la sua responsabilità, una responsabilità che finora non è stata molto evidente.