In Perù è tuttora illegale, ma ancora una volta è una sentenza a oltrepassare la legge.
Non si tratta di rinuncia a cure o a supporti vitali troppo invasivi e dolorosi per il malato, ma di un intervento diretto a interrompere la vita umana, intervento imposto da un tribunale a medici che quella vita hanno invece giurato di difendere.
All’età di 12 anni, ad Ana Estrada, peruviana, psicologa, poetessa e scrittrice, fu diagnosticata la polimiosite, una malattia rara, degenerativa, autoimmune, che produce l’infiammazione e la progressiva compromissione del funzionamento dei muscoli.
Anni dopo, una volta completati gli studi presso la Pontificia Università Cattolica del Perù, la paralisi la costrinse su una sedia a rotelle mentre nel 2015 una grave polmonite la portò in terapia intensiva presso l’Ospedale Rebagliati di Lima, lasciandola costretta a letto e causandole una forte depressione.
Nel 2019 la donna fece richiesta di porre fine alla sua vita a causa del dolore causato dalla sua malattia. In Perù l’eutanasia è vietata e per questo la sua richiesta fu respinta.
La petizione lanciata dalla donna su Change.org per richiedere la legalizzazione dell’eutanasia raccolse allora più di 20 milioni di firme.
Il 25 febbraio 2021 un tribunale peruviano, per la prima volta nella storia del paese, ordinò alle autorità sanitarie di porre fine alla vita di Estrada attraverso la procedura medica dell’eutanasia.
Le autorità sanitarie non hanno fatto ricorso e la decisione è stata successivamente ratificata dalla Corte Suprema nel luglio 2022.
Il 21 aprile 2024 all’età di 47 anni Ana Estrada è la prima persona in Perù a morire per eutanasia.
È sempre più impellente l’esigenza di avviare importanti investimenti nella cura al dolore, non può essere la morte la via per sopperire alle sofferenze di un paziente.
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