Il 5 ottobre scorso, le Commissioni LIBE e FEM del Parlamento Europeo hanno adottato, nel quadro di riforma della direttiva sulla lotta al traffico degli esseri umani (modifica alla Direttiva 2011/36/UE), un totale divieto rispetto alla pratica della maternità surrogata. Al contrario di quanto vogliano far credere le eurodeputate Malin Björk e Maria Eugenia Rodriguez Palopp riprese in un recente articolo di Avvenire, questa nuova direttiva mira a stabilire una definizione comune dei casi di tratta di esseri umani per l’Unione europea, includendo la “maternità surrogata per lo sfruttamento riproduttivo” nell’elenco dei casi di tratta di esseri umani, descritti nell’articolo 2, comma 3, insieme ad altre forme di tratta.
Passo successivo sarà quello, per ogni Stato membro, di recepire la direttiva nel proprio ordinamento nazionale, con la possibilità di renderla più restrittiva, ma non meno.
Per noi di Steadfast è un ottimo passo in avanti dell’Europa in merito a questa aberrante pratica. Proprio a fine mandato dello scorso governo, avevamo presentato in Cassazione, con altre organizzazioni, una proposta di legge di iniziativa popolare che intendeva classificare la maternità surrogata proprio come reato di tratta.
Ma per essere più chiari ed inequivocabili, andiamo nel dettaglio della riforma della direttiva europea.
– L’ art.2 comma 3 afferma: “lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, lavoro o servizi forzati, compreso l’accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù o lo sfruttamento di attività criminali, o l’allontanamento di organi, o matrimonio forzato, o adozione illegale, la maternità surrogata come sfruttamento riproduttivo, sfruttamento di bambini in istituti residenziali e di tipo chiuso, o reclutamento di bambini per commettere o partecipare ad attività criminali.”
Questa formulazione è stata il risultato di intense discussioni tra i relatori e i relatori ombra del testo, a seguito degli emendamenti presentati da nove membri del PPE che proponevano l’inclusione della maternità surrogata nel campo di applicazione della direttiva. A favore di questa inclusione, una netta maggioranza dei gruppi ha rifiutato esplicitamente qualsiasi espressione che creasse una distinzione tra vari tipi di maternità surrogata (cioè «commerciale» vs «etica»). Infatti un emendamento orale presentato dal gruppo Renew prima del voto, con l’obiettivo di includere solo la “maternità surrogata forzata” nei casi di tratta di esseri umani, è stato ampiamente respinto. Il testo finale collega quindi chiaramente la maternità surrogata allo sfruttamento riproduttivo.
Per qualificare un reato come tratta di esseri umani devono essere soddisfatte tre condizioni, elencate all’articolo 2, comma 1 e 2:
– Il comma 1 esplicita che: “gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché siano punibili i seguenti atti intenzionali: il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’ospitare o l’accogliere persone, compreso lo scambio o il trasferimento del controllo su tali persone, mediante la minaccia o l’impiego dell’uso della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, di frode, di inganno, di abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o di offerta o ricezione di somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra persona , a scopo di sfruttamento.”
– Il comma 2 esplicita: “una posizione di vulnerabilità significa una situazione in cui la persona interessata non ha altra alternativa reale o accettabile se non quella di sottoporsi all’abuso coinvolto.”
All’articolo 2, comma 5, viene fatta una ulteriore precisazione: quando nell’operazione è coinvolto un minore, non devono essere soddisfatte le condizioni sopra elencate.
Testualmente il comma 5: “quando la condotta di cui al comma 1 coinvolge un minore, costituisce reato punibile di tratta di esseri umani anche se non è stato utilizzato nessuno dei mezzi previsti dal comma 1.”
Ai fini della qualificazione del reato come tratta di esseri umani (articolo 2, comma 4), non è rilevante il consenso della vittima, così come il pagamento (articolo 2, comma 1). Pertanto, tutti i tipi di maternità surrogata sono inclusi in questa modifica della direttiva, sia nei casi in cui la maternità surrogata comporta un pagamento (rientra nelle condizioni elencate nell’articolo 2, comma 1 e comma 5), sia nei casi in cui la maternità surrogata sia gratuita (rientra nell’articolo 2, comma 5).
È importante sottolineare che è stata una scelta chiara di entrambe le commissioni coinvolte sostenere questa classificazione della maternità surrogata tra i casi di tratta di esseri umani, e nessun comunicato stampa, come quello siglato dalle eurodeputate Björk e Rodriguez Palopp, potrà annullare o indebolire questa decisione. Si sono già svolte lunghe e intense discussioni proprio su questo tema; ciò ha portato addirittura a proporre due compromessi alternativi nella lista di voto, una versione che includeva la maternità surrogata (CA1) e l’altra che la esclude (CA1a). La prima opzione è stata sostenuta con una maggioranza di 58 voti, contro 28 voti e 5 astenuti.
Finalmente, oltre che all’interno della società civile di tutto il mondo, anche nelle politiche europee stanno sorgendo preoccupazioni e una forte opposizione per l’espansione della maternità surrogata, che è vista come una forma di sfruttamento riproduttivo, violenza contro le donne, mercificazione del corpo e vendita di vita umana.
La logica del capitale quella del “tutto si può vendere”, abbattendo ogni limite etico, morale o religioso, per poi imporre ovunque, senza barriere, la legge dell’onnimercificazione e del valore di scambio, sembra finalmente trovare un arresto.
di: Emmanuele Di Leo, Presidente Seadfast (NGO)
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