La maternità surrogata è un «attacco alla dignità umana» in cui il «futuro bambino» è trattato come un «oggetto di scambio» che viene «reificato». Con queste parole la Corte Suprema spagnola boccia la pratica aberrante dell’utero in affitto.
La Cassazione spagnola ha privilegiato «la tutela del superiore interesse del bambino nato mediante maternità surrogata commerciale», comunemente nota come gestazione per altri o utero in affitto.
Al centro della questione, la decisione della Plenaria della Prima Camera che ha risolto un ricorso della Cassazione fondato sui diritti fondamentali – riconosciuti nella Costituzione spagnola e nelle convenzioni internazionali sui diritti umani – su un caso di filiazione per un figlio nato da utero in affitto. La Suprema Corte iberica, infatti, aveva già stabilito, nel 2013, che «i contratti di gestazione sostitutiva violano i diritti fondamentali sia della gestante che del bambino gestato, e sono quindi evidentemente contrari al nostro ordine pubblico».
Tuttavia, in questa occasione, si sono spinti oltre, poiché i magistrati dell’Alta Corte hanno ritenuto che nello specifico caso, la modalità prescelta per l’esercizio della maternità «comporterebbe un danno al superiore interesse del minore e uno sfruttamento della donna», che sono inaccettabili. Entrambi «sono trattati come meri oggetti, non come persone dotate della dignità della loro condizione di esseri umani e dei diritti fondamentali inerenti a tale dignità». Perché «il futuro figlio», che «è privato del diritto di conoscere le proprie origini, è trattato come oggetto di scambio, è reificato», non è ammissibile secondo i criteri dell’Alta Corte spagnola.
Secondo questa innovativa sentenza della Suprema Corte, «il soddisfacimento del superiore interesse del minore in questo caso porta al riconoscimento del rapporto di filiazione con la futura madre che deve essere ottenuto in via di adozione». Ovvero, la madre non incinta ha la “possibilità” di adottare il bambino con il quale vive e forma una famiglia “de facto”, ma non automaticamente o naturalmente.
Con questa sentenza la Sessione Plenaria della Prima Sezione ha deliberato su un ricorso depositato dalla Procura contro una precedente sentenza che aveva dichiarato la maternità di una donna, non madre biologica, di un bambino nato da utero in affitto. La donna in questione non aveva fornito materiale proprio genetico, contratto a sua volta in Messico attraverso un accordo in cui è intervenuta un’agenzia intermediaria.
Per la Corte Suprema spagnola «questi contratti sono nulli ai sensi dell’articolo 10 della legge sulle tecniche di riproduzione assistita e violano gravemente i diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia».
La madre surrogata, ha affermato la Prima Sezione della Corte Suprema nella sua sentenza: «è obbligata fin dall’inizio a partorire il bambino che sta per gestare e rinuncia prima del parto, anche prima del concepimento, a qualsiasi diritto derivato dalla sua maternità; è costretta a sottoporsi a cure mediche che mettono a rischio la sua salute e che comportano rischi aggiuntivi rispetto alle gravidanze derivanti da un rapporto sessuale; rinunciare al diritto alla privacy e alla riservatezza medica; si regolano per contratto questioni come l’interruzione della gravidanza o la riduzione dell’embrione, come sarà il parto (con taglio cesareo), cosa possono mangiare o bere, stabiliscono le loro abitudini di vita, i rapporti sessuali sono vietati, è ristretta la loro libertà di movimento e di soggiorno; la madre surrogata accetta di sottoporsi a test casuali su droghe, alcol o tabacco senza preavviso e su richiesta della futura mamma; e, infine, la decisione se la madre surrogata debba rimanere in vita o meno nel caso abbia subito una malattia o un infortunio potenzialmente letale».
«In definitiva – sottolineano i giudici – vengono imposti alla donna incinta, limiti alla sua autonomia personale e alla sua integrità fisica e morale che sono incompatibili con la dignità umana». Un «attacco alla dignità umana, a questo portano i contratti di maternità surrogata» cosa delineata anche nei regolamenti europei e negli accordi internazionali nonostante «le agenzie di intermediazione agiscono e pubblicizzano liberamente in Spagna».
Per questo, la Suprema Corte spagnola ha stabilito che «il figlio nato all’estero a seguito di maternità surrogata commerciale» che entra nel Paese spagnolo «e finisce stabilmente integrato in un nucleo familiare di fatto» può essere legalizzato in termini di filiazione in base alla figura dell’«adozione». La Suprema Corte ritiene inammissibile la violazione dei diritti delle madri in gravidanza e degli stessi bambini, «trattati come semplice merce».
Una soluzione che, a giudizio dei magistrati dell’Alta Corte, «soddisfa il superiore interesse del minore come richiesto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma al tempo stesso cerca di salvaguardare i diritti fondamentali che la predetta Corte ha anche ritenuti meritevoli di tutela, come i diritti delle gestanti e dei bambini in genere».
Questi diritti «sarebbero gravemente danneggiati se le azioni delle agenzie di intermediazione in maternità surrogata fossero agevolate, perché potrebbero assicurare ai loro potenziali clienti il riconoscimento quasi automatico in Spagna della filiazione risultante dal contratto di maternità surrogata, nonostante la violazione dei diritti delle madri surrogate e degli stessi figli, trattati come semplice merce, e senza nemmeno verificare l’idoneità ad essere riconosciuti titolari della potestà genitoriale sul minore», ha sentenziato l’Alta Corte.
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