Sembra che il Covid-19 sia riuscito in pochissimo tempo a rendere evidente ciò che tanta mobilitazione pro life si stava impegnando da tempo a mostrare.
La respirazione artificiale, che con la legge 219/2017 è stata inserita tra i trattamenti medici insieme a nutrizione e idratazione, può essere interrotta o nemmeno iniziata a seguito delle scelte fatte in sede di compilazione delle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT).
Nella situazione di emergenza sanitaria che stiamo vivendo invece abbiamo visto quante vite è stato possibile salvare poiché sottoposte per periodi più o meno lunghi a ventilazione artificiale.
Ricordiamo tutti l’indignazione generale quando è risultato evidente che non ci sarebbero stati respiratori per tutti.
E’ apparsa chiara, nella sua tragicità, la possibilità che qualcuno di noi potesse essere considerato da un medico meno degno di un altro paziente di avere accesso alla terapia intensiva e alla respirazione artificiale.
Pensate se in quel caos i medici avessero pure DOVUTO consultare prima un pc per sapere se volevate essere salvati o meno, quante persone in più sarebbero morte?
Su cosa ci induce a riflettere tutto questo?
Il diritto alla cura, all’accudimento, è parte di una società civile che deve avere l’obiettivo di non lasciare mai indietro nessuno, tanto meno i più fragili.
La vita non è un’opzione da scegliere secondo un fantomatico diritto all’autodeterminazione, ma un valore a cui aggrapparsi con tutte le proprie forze indipendentemente dall’età anagrafica.
La respirazione artificiale è quindi, ora più che mai inconfutabile, un prezioso sostegno vitale irrinunciabile.
Noi di Steadfast Onlus siamo contenti che in questo periodo di sofferenza ci sia almeno uno spiraglio di cui gioire.
Il cambio di prospettiva a cui abbiamo assistito deve essere una nuova base su cui ripartire per un dibattito serio e motivato a tutela dei malati, per l’estensione delle cure palliative, non per estendere l’eutanasia a tutti e a spese dello Stato.
Ci aspettiamo che i nostri governanti prendano atto di ciò che la nostra Comunità ha dimostrato di volere: vita, non morte.
Concludiamo con una riflessione di Assuntina Morresi, pubblicata su Avvenire che vogliamo condividere con voi.
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