Mai più Charlie, Isaiah e Alfie: la manifestazione.
Momenti toccanti e grande partecipazione di pubblico questo pomeriggio, a Roma, per la manifestazione dal titolo: “Mai più un altro Charlie, Isaiah e Alfie” organizzata da SteadastOnlus in collaborazione con Rede nacional em Defesa da Vida, Human Life International, Fondation Jérôme Lejeune, associazione nazionale famiglie numerose anfn, Centro Studi Rosario Livatino, Comitato “Difendiamo i Nostri Figli”, CitizenGO , ProVita Onlus , Comitato Articolo 26 , Genitori Val di Sieve, Alleanza Cattolica e Noi per la Famiglia”
L’obiettivo della manifestazione è stato quello di chiedere a Italia ed Europa di mobilitarsi per promuovere una cultura più rispettosa nei confronti della vita dei malati, anche gravemente invalidi e dei diritti dei genitori rispetto a uno Stato che vuole sostituirsi loro.
Il primo a salire sul palco è stato Emmanuele di Leo, presidente di Steadfast Onlus: “Alfie è morto ed è stato ucciso dalla stessa legge che doveva proteggerlo. Già, perché le leggi esistono per difendere i più deboli e per permettere alla società di svilupparsi in giustizia tutelando i vulnerabili e difendendo i suoi figli. Invece noi ora ci ritroviamo con un nord Europa vuoto di valori e con l’avanzare di una cultura dello scarto, che sempre più sta permeando le fondamenta della nostro pensiero. Concezioni materialistiche e scientiste che riducono l’uomo a nulla e privano quindi tutti, ma i malati in particolare, della loro dignità. Nessun progresso, siamo nel regresso. Ecco questo è l’invito che voglio fare oggi: dar voce a chi non ha voce, continuare ad aiutare queste famiglie lasciate sole. Ci stiamo sempre più organizzando e vogliamo perseguire questa finalità con tutti i mezzi possibili. Provando a gestire le emergenze come quelle di Charlie, Isaiah e Alfie, ma anche con azioni preventive, diffondendo una cultura che rispetti il valore della vita e non per lo scarto, premendo sulla politica affinché crei leggi per salvare e non per sopprimere, affinché la politica dia i mezzi a questo terzo settore, che anche nell’occasione della vicenda del piccolo Alfie ha dimostrato di avere capacità e ferma volontà di offrire un aiuto e di non indietreggiare di un passo”.
A seguire è stato il momento di una lettera inviata da Massimo Gandolfini, uno dei promotori del Family Day, che non ha potuto presenziare alla manifestazione a causa di un altro impegno istituzionale. A leggere le sue parole è stato lo stesso Emmanuele Di Leo. “Stiamo assistendo ad una tragica accelerazione della rivoluzione antropologica che – nel nome di diritti inesistenti ed assurdi (utero in affitto, eutanasia di stato, suicidio assistito, mercificazione dei bambini comprati al mercato dei gameti, legalizzazione e diffusione delle droghe) – sta distruggendo le fondamenta stesse della società civile. Nel fare oggi memoria di Alfie, di Charlie e di tante altre vittime della cultura dello “scarto”, come l’ha tanto efficacemente definita il Santo Padre Francesco, non possiamo dimenticare le vite stroncate sul nascere, nell’utero materno, il cui ingente numero (circa 6 milioni) è uno dei parametri di maggior peso dell’inverno demografico che investe il nostro Bel Paese. Il dolore, l’amarezza, lo sconcerto umano che la vicenda del piccolo Alfie ha provocato in ciascuno di noi deve essere uno stimolo forte a non rassegnarci. Anzi, penso che il modo più virtuoso che abbiamo per poter onorare questi piccoli innocenti – vittime delle tenebre del male – sia proprio attingere alla ricchezza del loro sacrificio per trovare forza e volontà per servire la vita, sempre”.ù
Significativo e a tratti molto duro l’intervento del magistrato Alfredo Mantovano del centro Studi Livatino: “Nel secolo scorso l’Inghilterra e l’Europa hanno vissuto anni e decenni di tormento, di minaccia, di sopraffazione. Quando i carri armati, le bombe, i muri e il filo spinato dapprima hanno schiacciato il nostro Continente sotto la svastica nazista, poi hanno sottomesso i Paesi dell’Est sotto la bandiera rossa con la falce e il martello. Per un momento abbiamo pensato e sperato che il totalitarismo fosse morto col XX secolo. Apriamo gli occhi. Non è così. Certo, non ci sono più i lager e i gulag. Ci sono però i reparti ivg, ci sono le cliniche della morte, ci sono gli ospedali che trattano i disabili, siano essi bambini o anziani, come scarti. E come scarti li eliminano, perché rappresentano un peso e un costo. Esattamente come facevano i nazisti. Esagero? Non c’è nessuna differenza? Le differenze esistono: al posto delle divise delle SS oggi ci sono i camici di medici assassini e le toghe di quei giudici che pronunciano sentenze di morte. Ma la sostanza è uguale – prosegue Mantovano che invita il pubblico a resistere e combattere per la causa – Andremo fino in fondo, combatteremo. Combatteremo in Italia e in Europa, combatteremo nelle aule di giustizia e nei reparti degli ospedali, combatteremo nelle università e nelle scuole, contro le distorsioni e i falsi insegnamenti, combatteremo nelle redazioni dei giornali, nelle televisioni, sui social, romperemo la cappa di censura e di disinformazione che spaccia la morte per terapia, combatteremo nelle piazze e nelle strade, combatteremo nei seminari e nelle facoltà teologiche, contro le quinte colonne che blaterano di accanimento terapeutico e non sanno di che cosa parlano, combatteremo ovunque ci sia il respiro”.
Applauditissima è stata anche la leader di Fratelli di Italia Giorgia Meloni: “Condivido con voi la centralità di questi dibattiti. Io come si sa ho chiesto al Governo italiano, appena venuta a conoscenza del caso Alfie, di curare quel bambino come fosse stato un suo cittadino. Quando la cittadinanza gli è stata concessa mi sono sentita fiera di essere Italiana, meno di essere europea. Non è la mia Europa quella che si accanisce su una famiglia che subisce il dramma più grande che possa capitare. Per me è impossibile che ci sia un burocrate che possa dirti come e se puoi curare tuo figlio. Questa battaglia andava combattuta per la nostra identità, perchè questa è una società che va tutto al contrario rispetto alla logica, non rispetto alla religione: è una società nella quale se fai un figlio naturale e sei anziano un tribunale te lo toglie ma se sei due uomini e sei ancor più anziano e te lo compri all’estero il figlio te lo puoi tenere. Io ricordo il caso di Eluana Englaro: ci dissero che nessuno più di un genitore sapeva come comportarsi e allora non ho capito perché se il genitore è il più importante per staccare la spina, magicamente non lo è più quando si tratta di curare i propri figli”.
Toccante la testimonianza di Chiara Paolini, mamma di Emanuele: “sono la mamma di tre bambini, uno dei quali è affetto da una gravissima disabilità, una malattia mitocondriale. Una malattia rara che lo ha fatto rinominare il Charlie italiano. Il mio bimbo non cammina, non parla, mangia con un sondino naso gastrico, lo abbiamo rianimato migliaia di volte:lui però vive, nonostante questo, in pienezza la sua vita. Qualcuno mi vorrebbe chiedere com’è fare la mamma a un bambino così, perché diciamo la verità, la malattia fa paura. Ma la risposta è una sola: è bello, fare la mamma di un figlio malato non è diverso che fare la mamma di un bimbo normale, la sfida è più grande e anche il successo. I nostri bambini non stano soffrendo, loro stanno vivendo la loro vita, una vita magari diversa rispetto agli altri bambini ma non meno degna”.
Ha parlato degli sforzi fatti nel parlamento Europeo Elisabetta Gardini, di Forza Italia. La Gardini ha ripercorso i giorni concitati legati all’emergenza Alfie e confluiti in una lettera sottoscritta dai rappresentanti di vari Paesi e in un’interrogazione al ministro per i minori inglesi. Ha citato Annah Harent che diceva “vedo nell’uomo un cambiamento, ci sono persone che non vedono più la vita come un dono e quindi, come tale, nella sua non disponibilità”. Ebbene oggi – ha proseguito la rappresentante di Forza Italia – ci sono scelte che vengono dall’alto e che non vogliono il bene dell’uomo ma che vedono l’uomo come qualcosa di negativo, noi siamo diversi. Se noi pensiamo che il diritto di una persona sia morire e non vivere è minacciato un fondamento della nostra società, che non è solo quella cattolica ma affonda le sue radici in quella greco romana. L’Europa ha rifiutato le sue radici greco romane e giudaico cristiane, troppo complicate per quelle élite che vogliono imporre un’altra idea di uomo e di vita, un’élite che è chiusa alla vita, che ha sempre un non so che di mortifero, ed è quella élite che ci fa vivere in questo senso di ripiegamento su noi stessi, nel privato. Dobbiamo continuare a lottare, a non fermarci, rappresentiamo la maggioranza degli italiani, quelli che fanno i figli, che sgobbano, che pagano le tasse, che non vogliono dare il kit del dottor Morte ai propri figli. Non è concepibile che si voglia morire solo perché si superano i 70 anni, solo perché si è malati, solo perché non si è utili.”
Combatte in prima linea da dieci anni per dare dignità a piccoli e meno piccoli affetti da malattie rare, l’Associazione Mitocon onlus. Per questa associazione, sul palco è salita la Vice presidente Paola Desideri: “Sono momenti importanti che vanno vissuti in prima persona. Siamo nati nel 2007 grazie alla volontà di genitori e pazienti affetti da malattie mitocondriali. In Italia non c’era un movimento di ricerca che desse supporto a queste malattie ancora poche conosciute. Oggi sono passati dieci anni e siamo una grande associazione fatta di tante famiglie, direi purtroppo, perché se fossimo stati in pochi avrebbe voluto dire che queste malattie non fossero così diffuse. Il caso di Charlie ci ha dato visibilità. I suoi genitori ci avevano contattato perché in Inghilterra non avevano avuto alcun tipo di supporto: a Charlie non è stata data la possibilità di poter provare una terapia del Bambin Gesù che era già stata provata su bambini come lui e i risultati erano stati sorprendenti. L’epilogo purtroppo lo conoscete tutti: in tribunale è stato detto che questa terapia era troppo sperimentale e avrebbe potuto essere dannosa. Ebbene credo che ogni tipo di terapia sarebbe stata meno dannosa della morte. Lla terapia non è stata fatta, anche se Charlie non è morto inutilmente perché si è aperta una finestra su un mondo fino a quel momento sconosciuto ai più grazie a lui quindi la sua vita futile come l’hanno chiamata, è servita a tanto”.
Tra i primi a trattare il caso Evans è stato il quotidiano l’Avvenire, quest’oggi rappresentato dal direttoreMarco Tarquinio: “Tra la stampa nazionale ci siamo stati solo noi purtroppo per un certo periodo. Ricordo il momento in cui il papà di Alfie è andato dal Papa e lui lo ha benedetto e ha pregato con lui. Quella foto ha raggiunto tutte le redazione e solo in quel momento ci si è accorti di quanto stava succedendo. Purtroppo le notizie non sempre vengono prese in considerazione quando avvengono. C’è stata grande indifferenza in quest’ultimo periodo. Non riusciamo a essere empatici tranne quando non vediamo le cose nella loro verità. Il caso Alfie è costellato da immagini a mio modo di vedere paradigmatiche: la prima l’incontro con il Santo Padre, la seconda immagine è stata l’abbraccio a un giornalista straniero da parte del papà del piccolo, la terza è quella della mamma di Alfie che culla il suo bambino, nel momento in cui la giustizia e la medicina avevano deciso di non fare la propria parte. Tutti sanno che cosa rappresenta l’abbraccio di una madre al figlio nel momento in cui lui è più vulnerabile. La cosa che mi ha positivamente colpito è che forze trasversali, politiche e associazionistiche si siano unite. Siamo in un tempo complicato, nel quale non ci sono le grandi masse pronte a muoversi ma ci sono tante piccole minoranze che sarà bene accomunare per riformare il grande popolo pro vita, perché la gente vuole vivere non morire”.
Di carattere più filosofico l’intervento di Alessandro Pagano della Lega. “Il processo di disgregazione della società, della famiglia, della cultura che costituisce l’elemento portante della distruzione delle radici più profonde e più autentiche dell’anima umana, è stata descritta dal pensatore e giurista cattolico brasiliano Plinio Correa De Olivera e oggi appare giunto al massimo dei suoi parossismi con la pretesa di controllare la vita e la morte realizzatasi nell’ultimo quarantennio con le legislazioni che hanno liberalizzato l’aborto, con le varie forme di fecondazione assistita e in queste ore con l’eutanasia, termine abilmente sempre meno usato nel dibattito o utilizzato in sensi spesso molto diversi”.
Ha incitato le piazze il Senatore Simone Pillon della Lega: “Dobbiamo tornare a occupare le piazze, ci siamo trovati di fronte a un leviatano che ha deciso che quel bambino doveva morire. Questa vicenda ci parla di un’antropologia che ci sta venendo di fronte e contro la quale dobbiamo decidere come reagire. Qualcuno è convinto che si possano mantenere i valori cristiani togliendo il cristianesimo ma non è affatto così. La vicenda Alfie è figlia di una logica: da determinate premesse non può che accadere quello che è accaduto. Se cominciamo a negare la relazione, la famiglia, se cominciamo a dire come viene detto anche nella legge italiana, nelle fictcion, nella tv e in internet che la vera vita è quella che deve essere degna di essere vissuta, se noi cominciamo a selezionare e a mettere dopo le parole vita umana degli aggettivi come degna, felice o futile, stiamo combinando un disastro perché la vita umana è vita umana e basta, e nel momento in cui noi come società, come occidente, cominciamo a dire che esiste una qualità della vita stiamo dicendo che ha diritto di vivere solo chi è giovane intelligente, ricco, in salute”.