L’altra faccia della Nigeria che Boko Haram vuole annientare
Fare istruzione, aprire i musei e costruire ospedali nel paese (spezzato a metà) degli emuli del Califfato jihadista
Superato il Sudafrica l’anno scorso, la Nigeria oggi è la prima economia africana, sebbene il forte calo del prezzo del greggio stia lasciando pesanti conseguenze. Eppure la Nigeria è definita “colosso dai piedi d’argilla”, in quanto il paese è fortemente diviso tra nord e sud. “Il 72 per cento dei nigeriani del nord – ricorda la rivista Nigrizia di questo mese – vive ancora con meno di un dollaro al giorno, contro il 27 per cento dei cittadini del sud”. Una differenza economica che riflette, in parte, quella religiosa: al nord prevale la popolazione islamica, al sud quella cristiana. Inoltre al sud abbonda il petrolio, al nord no; al sud crescono scuole, ospedali, strutture educative e culturali, al nord molto meno.
La democrazia rappresentativa è rinata nel 1999, e da allora il paese è governato dal Partito democratico popolare (Pdp), oggi rappresentato dal presidente Goodluck Jonathan, il primo cristiano al vertice del paese (dopo essere stato il vice di Umaru Yar’Adua, un musulmano del nord).
Le divisioni e le differenze in Nigeria sono immense, e i terroristi islamici di Boko Haram, attivi nel nord-est del paese, trovano in esse terreno assai fertile. Dal 2009 a oggi hanno causato più di 13 mila morti e oltre un milione di sfollati, devastando ancora di più l’economia e lo stato dell’istruzione del nord est, dove sembra che non di rado trovino sponda nei politici locali, del partito avverso al Pdp, il Congresso di tutti i progressisti (Apc), guidato dal generale Muhammadu Buhari, eterno perdente con un passato di sostenitore della sharia per tutto il paese.
Il mese scorso, il 14 febbraio, avrebbero dovuto svolgersi le elezioni presidenziali, seguite da quelle del Senato e dei governatori di 28 dei 36 stati della federazione nigeriana. Ma queste elezioni sono state rimandate, tra molte polemiche, a causa dell’assenza di sicurezza in molte regioni.
Per capirne di più su quanto accade in Nigeria, il Foglio ha sentito Emanuele Di Leo, responsabile per la comunicazione e i rapporti esterni della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (Upra) e cofondatore di Steadfast Onlus (www.steadfastfoundation.com). Ex ufficiale dei carabinieri, con formazione sociologica e competenza specifica nelle Scienze strategiche, Di Leo trascorre lunghi periodi dell’anno, con la moglie Venere, proprio in Nigeria. “Ho fondato Steadfast – ci dice – per far sì che la voce dei più indifesi ed emarginati possa sentirsi. Steadfast è nata per essere a servizio dei più sfortunati, per edificare un mondo migliore”.
L’associazione Steadfast nasce nel 2013, dopo un incontro con un professore nigeriano, con l’intento di costruire un campus universitario nel paese africano. Siamo già negli anni del terrore, e decidere di fare cooperazione è certamente rischioso. “Il nostro primo progetto – racconta Di Leo – fu un documentario per raccontare non solo la Nigeria del sangue, del terrore, della prostituzione e della corruzione, ma anche quella della speranza. Così abbiamo prodotto un docufilm mettendo in collaborazione Nollywood – l’Hollywood nigeriana, che si colloca al secondo posto per numero di produzioni cinematografiche al mondo – con Cinecittà. L’abbiamo intitolato ‘L’altra faccia della Nigeria’. Nei nostri viaggi, infatti, incontriamo anche tanta voglia di fare, tante persone che stanno cambiando questo paese. Ci sono dei sacerdoti, per fare un esempio, che hanno costruito università affollate e funzionanti; hanno edificato musei dove fanno depositare agli africani i feticci e gli amuleti, che spesso paralizzano la vita delle persone, per far comprendere l’importanza di liberarsi dalle credenze magiche e dalla superstizione. Questi stessi sacerdoti promuovono la creazione di luoghi di pacificazione, dove vengono risolte ogni anno migliaia di controversie che di norma portavano a omicidi e faide senza fine”.
Steadfast è molto attiva anche nell’ambito della cooperazione: il primo progetto è stato un piccolo ospedale da 20 posti letto, nello stato di Enugu: “Quando ci si muove, in Nigeria, bisogna farlo con grande cautela, consultando la politica e i capi villaggio, personalità elette democraticamente, che hanno un potere e un prestigio enorme. Da loro bisogna passare, e far comprendere che si sta perseguendo il bene del paese”.
Il presidente Jonathan, accusato di essere troppo immobilista con i terroristi, conduce parte della sua campagna elettorale postando sui social network foto con nuovi ospedali, ponti, scuole. Di Leo ci dice: “Sì, per quello che abbiamo potuto vedere noi, è vero. Jonathan crede alla necessità di una formazione culturale maggiore per il suo popolo. Boko Haram questo non lo vuole. E’ anche questione di potere, perché è più facile dominare sugli ignoranti. Noi di Steadfast vogliamo fare formazione, là e in Italia. Abbiamo chiamato a Roma un gruppo di nigeriani, li abbiamo formati, per poi far gestire loro delle officine meccaniche di nostra costruzione. Allo stesso modo stiamo progettando un polo scolastico con cinque edifici, in una zona molto povera: il sogno è aprire un’università. La formazione è di tanti tipi: la mia storia è anche legata alla prima facoltà di Bioetica al mondo, l’Upra. Anche in Nigeria vogliamo portare, insieme alle missioni mediche, l’attenzione alla sacralità della vita e della famiglia. L’anno scorso ci siamo imbattuti, tramite Facebook, in una suora italiana che vive in un’isoletta con ottomila abitanti, nella povertà più nera. Cinquemila sono bambini, per lo più orfani: dove c’è la poligamia, dove non c’è il rispetto per le persone e per la relazione uomo-donna, i bambini sono spesso le vittime, perché nascono senza che ci sia qualcuno ad accoglierli”.
Le prossime elezioni? “Dovrebbero essere a fine marzo. Tutto è incerto. C’è tanta paura, e questo non aiuta. Qualcuno pensa addirittura che sia meglio votare un musulmano, così Boko Haram si calmerà. Ma è difficile fare previsioni”.