“Possiamo pretendere di dialogare senza studiare?”
Un giorno qualsiasi in una società diversa si svolge con modalità lontane dalle nostre abitudini. Il nostro pensiero e il nostro agire quotidiano è scandito da distinzioni, da ambienti separati, da paratie stagne tra le attività professionali e quelle domestiche; tra attività pubbliche e private, personali; persino nell’intimo del nostro essere distinguiamo tra spirito e corpo, con buona pace degli appassionati di filosofie ed etiche di varia origine. Immaginiamo, invece, una realtà in cui non vi sia alcuna soluzione di continuità tra i piani dell’esistenza che, appunto indivisi, non siano plurali, ma uno solo. Ciò che pubblicamente avviene come rito sociale, avviene privatamente come attività di famiglia, il mestiere si svolge al ritmo e con i tempi dettati da una legge che regola, allo stesso modo e allo stesso tempo, la sfera spirituale.
Qualcuno a questo punto potrebbe pensare che io stia cercando di parlare dell’Islam con una perifrasi retorica, ma in realtà sto descrivendo la nostra stessa società occidentale, solo di qualche secolo fa. Sì, perché i magistrati romani erano deputati a scandire anche il tempo sacro e nella domus privata il pater ne era l’interprete indiscusso. Cercare di sovvertire la tradizione e l’ordine costituito era materia di diritto penale pubblico. Ecco perché, anche dopo la trasformazione del mondo mediterraneo antico nel mondo europeo medievale, un’accusa di eresia equivaleva a un’accusa di ribellione all’ordine politico. I nostri antenati medievali si interrogarono per primi sulla separazione delle sfere dell’esistenza, per capire ad esempio se fosse lecito e opportuno separare il potere spirituale da quello temporale. Non solo. Devo accennare alla condizione femminile nel nostro mondo antico? Lasciate che citi soltanto la trilogia tragica dell’Orestea di Eschilo – in particolare la terza opera, le Eumenidi – laddove l’autore fa pronunziare ad Apollo un discorso in difesa di Oreste, che ha ucciso la madre per vendicare la morte del padre ed è perciò accusato di matricidio: “colei che viene chiamata madre non è genitrice del figlio, bensì soltanto nutrice del germe appena in lei seminato. È il fecondatore che genera;…” (IV episodio, vv. 658- 660).
I fatti storici li conosciamo tutti, tutti sappiamo che l’anno 622 del nostro calendario rappresenta l’inizio del calendario islamico, basta prendere in mano un buon libro di storia, anzi, consultiamo un’enciclopedia, ma non internet. Purtroppo internet non offre le garanzie che il nome di una casa editrice nota offre anche solo per tornaconto aziendale.
Basta quell’anno per intendersi su molte cose, a partire dal fatto che proprio in quel periodo stava avvenendo quella trasformazione a cui ho accennato sopra. L’Islam venne frainteso per una delle tante eresie in circolazione e come tale considerato per secoli. Sovrapponendosi al medio oriente e al nord africa ancora in larga parte intrisi di quella eclettica civiltà tardo antica che faceva capo alla capitale romana orientale, Costantinopoli, di essa e delle sue valenze culturali si fece interprete e continuatore e, attraverso essa, della civiltà mediterranea antica.
Proviamo di nuovo a spostare il punto di vista, prima lo abbiamo fatto nel tempo e (per quanto mi riguarda) nel genere, ora facciamolo per un aspetto della nostra vita contemporanea e chiediamoci come sembri l’universo cristiano a chi non è cristiano. Noi stessi sappiamo distinguere forse i cattolici dagli ortodossi, ma siamo in grado di distinguere le diverse famiglie che chiamiamo “protestanti”? Figuriamoci chi guardi dall’esterno. Allo stesso modo, l’Islam si divide, oltre alla macroscopica distinzione tra sunniti e sciiti, in altre variegate famiglie. L’Islam è una delle tre grandi religioni monoteiste, secondo le definizioni tecniche. Basterebbe però osservare la devozione e il culto verso certi santi nei nostri paesi e questa definizione, almeno per quanto riguarda il cattolicesimo, apparirà subito semplicistica. Il dogma della Trinità poi non è di facile comprensione per il cattolico tiepido, figuriamoci (ancora) da un punto di vista esterno.
L’Islam ha un libro sacro, il Corano. Il Corano parla di una fede rivelata dall’Arcangelo Gabriele al profeta Maometto. Anche sul Corano si dicono tante cose e il problema non è se nel Corano si parli di violenza e di guerra, perché se ne parla in tutti i testi sacri di tutte le religioni; il problema semmai è un altro: l’interpretazione allegorica non è prevista, come non è prevista traduzione, che implica un’interpretazione.
Mi spiego: quando il cristianesimo si diffuse nell’occidente mediterraneo, all’epoca di lingua latina, si cominciò a parlare di traduzione dei testi sacri e la posizione ufficiale, almeno inizialmente, fu quella di non cambiare nulla, tanto che i primi tentativi di traduzione della Bibbia in latino seguivano pedissequamente l’originale a tal punto da risultare assolutamente incomprensibili. L’idea di san Girolamo e della sua Vulgata fu appunto quella di rendere il testo per il senso, non parola per parola. Le condizioni sociali costringevano gli evangelizzatori ad una predicazione orale che comportava interpretazioni ed esemplificazioni, nacquero discussioni teologiche, i Padri della Chiesa si interrogarono e si condannarono a vicenda per secoli, infine la Scolastica costrinse la fede a dialogare con la ragione con gli strumenti della filosofia, generando il pensiero “occidentale”.
In condizioni diverse da queste, ma simili ancora, come ho detto, a quelle di un mondo in fondo non tanto lontano come quello imperiale romano, come possiamo pretendere di dialogare senza studiare?
A chi starà pensando che il dialogo sia impossibile in un momento di conflitto come questo che stiamo vivendo, rispondo che la storia ci insegna che proprio in quello che potrebbe essere considerato il periodo peggiore dei rapporti tra cristiani e musulmani, il cosiddetto “medio evo”, abbiamo non uno, ma diversi esempi di convivenza reale: nella prima metà del secolo XII in Sicilia, il re normanno Ruggero II promulgava i propri atti in tre lingue (latino, greco, arabo) e quattro religioni erano praticate (cristianesimo cattolico e ortodosso, islam, ebraismo); a Salerno già esisteva una vera e propria facoltà di medicina (che all’epoca chiamavano “scuola”), dove medici delle più diverse lingue, religioni e provenienze insegnavano insieme; già dal secolo XI, dalla commistione culturale nella Penisola Iberica sotto dominio musulmano, si era formata una letteratura mozarabica (visigoti cristiani “in mezzo” agli arabi musulmani), che si esprimeva in una particolarissima forma poetica (muwashshaha), che mescolava forme e contenuti di provenienza araba, ebraica e neolatina (lingue neolatine sono l’italiano, lo spagnolo, il rumeno…); nella seconda metà del XIII secolo, ancora nella Penisola Iberica, il re Alfonso X il “Saggio” (appunto) fece incontrare i sapienti delle tre religioni per dar vita ad una stagione culturale fondamentale per le conoscenze scientifiche e umanistiche di tutto l’Occidente.
Il prodotto di quelle esperienze di convivenza e di dialogo interculturale è diventato perciò parte integrante del nostro retaggio, di quelle famose “radici” e dei “valori” che alcuni vedono oggi minacciati, ma non quando portano i figli al fast food per festeggiare halloween.
Per concludere, non lasciamoci trasportare dall’ignoranza e dalle strumentalizzazioni e, soprattutto, non lasciamo che queste ci portino a cercare un capro espiatorio. Ogni volta che una cosa del genere si è verificata nella storia, sono state perpetrate le peggiori nefandezze di cui l’essere umano si sia macchiato.
di: Marco Martorana, membro del direttivo Steadfast Onlus
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